La formazione professionale continua di architetti e progettisti ha un’importanza strategica sempre più ampia nel mondo dei professionisti: permette di proporsi al meglio ai propri clienti, e al tempo stesso di restituire al proprio lavoro la dimensione etica e di innovazione che – a volte – la quotidianità nasconde.
Su questo tema abbiamo chiesto un commento a Eleonora Gerbotto, Direttrice della Fondazione per l’Architettura di Torino, che ci ha detto quel che segue.

Eleonora Gerbotto
Eleonora Gerbotto, direttrice della Fondazione per l’Architettura di Torino

D: Direttrice, qual è a suo giudizio lo stato attuale della formazione per i professionisti della progettazione edilizia in Italia? C’è il rischio che la formazione venga intesa sempre più spesso come un’ulteriore attività che bisogna fare, senza che – per come viene poi svolta – abbia un reale valore di crescita per il professionista? E se sì, è un problema di offerta formativa, oppure di domanda?

EG: Credo che il mercato della formazione per gli architetti e, in generale, i professionisti dell’edilizia, abbia attraversato diverse fasi e ora stia arrivando alla sua maturità.

L’obbligo formativo è nel nostro ordinamento da un po’ di anni ma, almeno all’inizio, la confusione è stata tanta, sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda.

Inizialmente si è creata una sovraofferta (del resto la formazione è un business per molti soggetti) e si è scatenata una corsa a chi offriva più formazione possibile, a discapito della qualità. Gli architetti e i professionisti poi hanno visto la formazione fatta in quel modo come un’imposizione, in termini di tempo da spenderci e di costi da sostenere.

Quasi come in una forma di protesta, molti hanno scelto la formazione gratuita, ancora a discapito della qualità.

Dopo questo assestamento che giudico anche normale, le cose oggi stanno cambiando: secondo la nostra esperienza, e quella di altri attori in questo campo, la formazione non è un grosso business. Naturale dunque che domanda e offerta oggi vogliano incontrarsi sul piano della qualità: se del tempo va investito, deve essere tempo che non si sacrifica alla professione ma che permette di investire sulla professione.

Fondazione per l’Architettura faceva formazione in aula -a pagamento – anche prima che diventasse un obbligo, cercando di fornire strumenti di ragionamento puntuali e di alto livello ai professionisti. Chi chiedeva quella formazione ancora oggi la chiede.

D: Proviamo a focalizzarci su un particolare tipo di formazione, lasciando per un attimo da parte quella più prosaica, comunque utile, ma piuttosto focalizzata sul sistema dei crediti formativi per i professionisti. Come può una formazione di alto livello dare una vision ai progettisti, renderli centrali nei processi e, pensando al tema della riqualificazione a noi caro, farli diventare i veri registi delle operazioni?

EG: È una domanda che ci siamo posti, e per darle risposta abbiamo creato un ciclo di alta formazione.
Crediamo che la base sia una formazione normativa tecnica di alta qualità: dare strumenti interpretativi seri delle norme, delle innovazioni tecnologiche, questo è fondamentale.

Però occorre anche una formazione che aiuti gli architetti a capire in che direzione ci stanno portando i cambiamenti sociali, politici, tecnologici: serve traghettare la capacità critica dell’architetto su visioni a lungo termine.

Per questo pensiamo che la risposta sia un approccio multidisciplinare alla formazione: del resto, è la cifra stessa del ruolo dell’architetto quella di anticipare i bisogni della società e non essere soltanto un tecnico.

Abbiamo avviato due percorsi formativi in questo senso.
Uno sull’impatto sociale delle trasformazioni urbane: come incidono e impattano sul contesto sociale, come possiamo misurare queste conseguenze in termini anche economici.
Un altro sui mutamenti climatici e sul rapporto città foresta: siamo partiti da realtà come il Bosco Verticale e il suo impatto sulla città per estendere il concetto all’impatto in senso globale di esperienze su questo stile.

D: In pratica, sembrerebbe una formazione in grado di diffondere cultura e competenze, dare valore, costruire community e far evolvere il ruolo del progettista…

EG: Abbiamo avuto ottimi riscontri su questo.
Hanno partecipato non soltanto architetti, e il tema del networking è piaciuto moltissimo. Del resto, a livello europeo è così.

Un problema del nostro paese, a mio giudizio, è gli studi di architettura di grandi dimensioni sono molto pochi, si tende ad avere una realtà molto parcellizzata, cosa che invece succede poco in Europa.
 Questo significa che avere una vision in Italia è più difficile: gli studi di piccole dimensioni, giocoforza, sono più legati al qui e ora.

Per avere un approccio più visionario occorre introdurre nello studio l’interdisciplinarità, traghettare davvero la figura dell’architetto verso la sua missione originaria, e la strada non può che essere quella di aprirsi, creare studi più grandi, con più tipologie di professionalità al loro interno.

D: In questo framework concettuale, l’occasione rappresentata oggi dai molti bonus e in particolare dal superbonus del 110% che cosa significa? La sensazione, vivendo questo mondo dall’interno, è che in questo momento il mercato veda – grazie ai bonus – un surplus di domanda rispetto all’offerta, e che manchino spesso le offerte adeguate.
Sembra ci sia un misunderstanding sul senso del bonus: un po’ come il cashback di stato che viene percepito quasi più come regalo ogni sei mesi che non come misura di contrasto all’evasione. Il 110% può essere un’occasione per lavorare meglio, e non solo in vista dell’ottenimento del contributo?

EG: Il paragone con il cashback calza molto bene.
C’è una corsa quasi “bulimica” a cercare di sfruttare l’occasione del 110%, ma si tratterà di un’occasione persa se il professionista non riuscirà a mantenere fede alla sua responsabilità etica.

Questa può essere l’occasione per cui gli architetti riescano a contribuire attivamente a una sfida ambientale che è mondiale. 
Se il bonus sarà visto solo come un’opportunità di business sarà uno spreco: esaltare il ruolo etico del lavoro dell’architetto, ritrovare il valore sociale della professione, questo occorre fare. 
Gli architetti oggi sono un anello fondamentale per far passare questa comunicazione verso i loro clienti: siamo tutti parte di un cammino globale per il miglioramento delle condizioni di vita nostre e del pianeta.

So che è un percorso difficile, che il momento è difficile e la professione in sofferenza: spesso bisogna cogliere ogni occasione per lavorare. Il ruolo della formazione di alto livello è quello di portare, in un contesto di formazione tecnica e normativa di cui tutti hanno bisogno per lavorare al meglio, una serie di messaggi importanti indirizzati alla sensibilità dell’architetto. Una sensibilità che hanno tutti coloro che hanno scelto questa professione.
Certo, serve una mano: da parte delle istituzioni, di chi forma, di chi controlla le corrette esecuzioni dei lavori, di chi autorizza i cantieri.

D: La normativa mette il progettista al centro delle operazioni di riqualificazione, anche in considerazione della responsabilità etica che attribuisce alla sua figura: è l’occasione per i progettisti di fare uno step migliorativo in termini di qualità del lavoro e di capacità di attrarre progetti interessanti sul mercato?

Chi coglie questa occasione avrà un futuro migliore rispetto a chi non lo fa, credo sia giusto essere chiari.

Del resto la cittadinanza stessa è più sensibile oggi alla sostenibilità delle scelte: si sa che con scelte di riqualificazione aiutate dai bonus non si risparmia solo in bolletta, il vantaggio non è solo individuale, ma comune.
Gli architetti che sanno “stare” su questa sensibilità hanno dei vantaggi competitivi perché sono soggetti che fanno comunicazione verso i propri clienti, diventano consulenti veri e propri.

Per farlo, e qui torniamo su un punto che ho già evidenziato, gli studi devono ingrandirsi: la dimensione dello studio professionale è centrale.
Più lo studio cresce in dimensioni, professionalità, più cresce in qualità dei progetti: si sdogana l’immagine dell’architetto come tecnico, si costruisce l’immagine dell’architetto come consulente sociale.
Questo però passa necessariamente attraverso l’ingresso negli studi di altre professionalità, che siano in grado di costruire e “scaricare a terra” l’impianto immaginato dall’architetto.

Per motivi storici da noi in Italia è un passaggio ancora complicato da fare, ma gli architetti credo debbano lavorare per acquisire quelle capacità di governance e management di strutture organizzative, i loro studi, di cui diventare il vertice pensante.

D: Chiudiamo con un’ultima domanda: da quanto detto sin qui si capisce quanta importanza abbia un certo tipo di formazione. A suo giudizio, la formazione sponsorizzata dalle aziende, su cui spesso si nota un po’ di scetticismo da parte dei professionisti, che ruolo ha?

Nella fase iniziale del mercato della formazione di cui parlavo all’inizio, c’è stato scetticismo per via di un’offerta formativa molto vicina allo spot pubblicitario da parte delle aziende: veniva sfruttato il momento formativo per pubblicizzare i propri prodotti. Credo fosse anche normale, vista la confusione di quel periodo.

Oggi le aziende hanno un approccio più maturo alla formazione che promuovono: noi della Fondazione per l’Architettura, ma anche gli stessi ordini professionali, facciamo formazione in collaborazione con le aziende.
Molte di loro fanno ricerca e sviluppo in modo molto serie e interessante.

Si è capito che raccontare le innovazioni di prodotto e di processo mettendo in comune il percorso per raggiungerle, le scelte fatte, l’applicazione pratica delle soluzioni, sono alti momenti di formazione. E, in questo, dare parola ai colleghi che condividono perché abbiano scelto un prodotto o un processo piuttosto che un altro fa fare un’ulteriore salto di qualità: si crea una sorta di intelligenza collettiva e connettiva che è un enorme valore aggiunto per un professionista. Una formazione tra pari in cui l’aspetto interessante non è tanto l’oggetto o il processo finale, che comunque rimangono centrali in un mondo come quello edile che di “materiali” è fatto, quanto piuttosto il processo decisionale di un collega.

La formazione in cui le aziende sono protagoniste è imprescindibile e va fatto in modo costruttivo per tutti i soggetti coinvolti.

Noi di Fondazione per l’Architettura siamo lavorando in questo periodo sul mondo degli ospedali con workshop di progettazione interdisciplinari in cui coinvolgiamo diverse aziende: si crea una modalità di conoscenza e formazione sul campo che è trasversale alle discipline e alle aziende, una formula vincente.
Il pubblico di queste formazioni può anche essere ridotto nei numeri assoluti, ma per le aziende interessate è un’occasione unica di creare relazioni approfondite e stabili con i professionisti.

Il network di competenze e soluzioni

Emerge chiaramente anche dall’intervista a Eleonora Gerbotto come costruire una rete di relazioni di competenze e soluzioni tecnologiche e di processo sia oggi centrale per un progettista della riqualificazione. Il vero vantaggio competitivo che colloca sulla sedia del regista dell’intero progetto.

REbuilding network ha da tempo colto questa esigenza del mercato con il programma di formazione RE-Xpert: sono aperte le iscrizioni per la prossima edizione (programma completo) e, accanto a questa opportunità, sono molte le possibilità di formazione della rete che vi invitiamo a consultare nella nostra REbuilding network Academy.