D: Direttrice, qual è a suo giudizio lo stato attuale della formazione per i professionisti della progettazione edilizia in Italia? C’è il rischio che la formazione venga intesa sempre più spesso come un’ulteriore attività che bisogna fare, senza che – per come viene poi svolta – abbia un reale valore di crescita per il professionista? E se sì, è un problema di offerta formativa, oppure di domanda?
EG: Credo che il mercato della formazione per gli architetti e, in generale, i professionisti dell’edilizia, abbia attraversato diverse fasi e ora stia arrivando alla sua maturità.
L’obbligo formativo è nel nostro ordinamento da un po’ di anni ma, almeno all’inizio, la confusione è stata tanta, sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda.
Inizialmente si è creata una sovraofferta (del resto la formazione è un business per molti soggetti) e si è scatenata una corsa a chi offriva più formazione possibile, a discapito della qualità. Gli architetti e i professionisti poi hanno visto la formazione fatta in quel modo come un’imposizione, in termini di tempo da spenderci e di costi da sostenere.
Quasi come in una forma di protesta, molti hanno scelto la formazione gratuita, ancora a discapito della qualità.
Dopo questo assestamento che giudico anche normale, le cose oggi stanno cambiando: secondo la nostra esperienza, e quella di altri attori in questo campo, la formazione non è un grosso business. Naturale dunque che domanda e offerta oggi vogliano incontrarsi sul piano della qualità: se del tempo va investito, deve essere tempo che non si sacrifica alla professione ma che permette di investire sulla professione.
Fondazione per l’Architettura faceva formazione in aula -a pagamento – anche prima che diventasse un obbligo, cercando di fornire strumenti di ragionamento puntuali e di alto livello ai professionisti. Chi chiedeva quella formazione ancora oggi la chiede.